Pininfarina: un carrozziere dallo stile industriale
La storia dei carrozzieri - Pubblicato il 26 Agosto 2020 - 11:36
Tratto da Sicilia Motori – Anno XII n. 8 e 9 (145-146), Agosto-Settembre 1993
di Francesco Ragusa – Riproduzione riservata
Una leggenda. Solo così si può definire l’opera di questo carrozziere: una storia “sbalzata” sulle lamiere dei suoi capolavori. Formatosi sin dall’adolescenza nell’azienda del fratello Giovanni, gli “stabilimenti Farina“, Battista, detto “Pinin” alla fine degli anni ’20 lascia l’azienda familiare e, dopo un viaggio negli Stati Uniti per conoscere le moderne tecniche automobilistiche. Apre una propria carrozzeria a Torino, impostando la produzione con metodi industriali ed’ avanguardia. E’ il 30 giugno 1930.
L’apertura della nuova sede Pininfarina
Sede nuova, ma tradizioni antiche. Oltre al dono innato di un grande talento creativo, con il quale l’azienda cresce rapidamente e si afferma in campo anche internazionale. Per la bellezza di vetture speciali come le Alfa Romeo 8 e 6 cilindri, i coupè Hispano-Suiza, le Lancia Dilambda e Astura, le Fiat Ardita Tipo 527 E, tra le prime vetture da corsa. Il rivoluzionario Coupè aerodinamico Lancia Aprilia. Era prorio nel “rivoluzionario” la carrozzeria Pinifarina. Non tanto quindi nella creazione di eleganti “involucri” per telai in genere costosi, quanto nell’influenza che esercita sul design automobilistico. Un innovatore.
Ma i suoi primi clienti (fin da subito “importanti”, tra i primi vi fu addirittura il marahja di Cahore ed il conte Felice “Didi” Trassi, famoso pilota di quegli anni) non volevano “stravaganze”, ma la ricerca di una coerenza formale tra i vari volumi. Anche usando forme che a rima vista potevano sembrare “insolite” e “disparate”. Suggestioni assimilate da quelle “pretenziose” dei carrozzieri francesi. Oppure quelle aerodinamiche degli studi tedeschi o ancora quelle “monumentali” degli americani coniugate con quella sua “linea torinese”. Sobria e rigorosa. Un forte senso della “moda” improntava il suo lavoro e di fatto egli non mascherava questo linguaggio.
La chiave del suo successo era appunto saper guardare le idee degli altri per poi sperimentarle, proiettandosi in avanti. Al di sopra delle “mode”, tutte le idee venivano migliorate ed adattate ai suoi scopi. Dopotutto non è credibile che l’uomo “Pinin” disegnasse e realizzasse personalmente tutti i veicoli che portano il suo marchio.
Pininfarina, capace di sintetizzare le proposte
Non lo si offende dicendo che egli era un abile “art director”, capace di sintetizzare le proposte di un gruppo di lavoro, amalgamandole con un’impronta inconfondibile. Spesso imponendo rifacimenti di intere parti di vetture, a poche ore dalla loro presentazione ufficiale. I “falsi coupè” decapottabili realizzati su telai Lancia ottennero un successo travolgente ed egli cominciava ad avvertire, ad esempio, l’esigenza del parabrezza ricurvo. Nonostante l’industria non li producesse ancora. Oppure la sostituzione del radiatore di fabbrica o lo spostamento delle prese d’aria da verticali ad orizzontali.
In quei primi anni ’30 presentò vetture tra le più belle mai viste. Due auto possono dare un’idea della ricerca di Pininfarina di un suo stile personale. Si tratta dell’Alfa Romeo 2300 8 C del 1933, tipo “Victoria” nella quale certe soluzioni bugattiane (abitacolo spostato indietro, taglio dei finestrini, forma del padiglione) vengono riproposte in nuova versione. E di un’altra Alfa Romeo su telaio 6 C tipo “Pescara” del 1934, vincitrice di categoria al concorso d’eleganza di Torino. Che conferma la ricerca di addolcire le forme, come dimostrano lo slancio dei parafanghi anteriori, la forma del radiatore e soprattutto la fusione del bagagliaio (e della ruota di scorta, finora esterna) con il resto della carrozzeria. E’ una berlinetta aerodinamica del 1934.
L’Aprilia Coupe
Le linee si arrotondano, i parafanghi diventano più avvolgenti anche nelle vetture prodotte su misura per i clienti. L’influenza aerodinamica è evidente. Ma queste linee lasciano il segno soprattutto nell’Aprilia Coupe del 1936-37 a profilo alare. Una delle creazioni più interessanti del periodo anteguerra. Il suo padiglione rastremato a “goccia”, il parabrezza curvo realizzato tutto in plexiglass la fanno veramente innovativa. Ne furono realizzati solo tre esemplari, di cui due con la calandra verticale e una con quello che è il primo esempio in assoluto di mascherina orizzontale.
Nel 1939 la Pininfarina ha già ben 500 dipendenti e realizza circa 800 vetture all’anno. Non c’è che dire. Una bella impresa, a neppure dieci anni dopo essere nata. Dopo la ben nota parentesi bellica, durante la quale costruisce di tutto, dalle autoambulanze ai sedili d’aereo (quelli per il Fiat G.12) e persino … cucine. Pininfarina torna alle automobili.
E lo fa in maniera tale che il suo nome echegghia in tutto il mondo per la estrema arditezza del suo disegno. Crea subito un capolavoro, quello che sarà definito un esempio di “scultura in movimento”. Si tratta della Cisitalia 202 Gransport Coupè, prodotta in 153 esemplari a partire dal 1947. E che fu esposta, dopo l’esordio al concorso di eleganza di Villa Olmo a Como, per fa prima volta in campo internazionale proprio al Salone di Parigi dello stesso anno. Nel tempio della pretenziosità veniva proposta una vettura dalle “provocanti” forme semplici, arrotondate, senza neppure una cromatura superflua a far bella mostra di sè. E, cosa ancora più importante, con una linea aerodinamica da fare “paura” (agli altri produttori).
La Cisitalia
La carrozzeria è concepita come un monolito levigato, i parafanghi, non più staccati appaiono integrati nel corpo della vettura. Li cofano anteriore, dotato di un originale sistema multiplo di apertura, è ancora più basso di quest’ultimi, come non si era mai visto prima. Dal punto di vista strutturale la Cisitalia è dotata di un telaio tubolare eccezionalmente ribassato e disegnato in previsione delle forme della carrozzeria. Ma per la verità i primi disegni della “Cis Italia” (come si chiamava inizialmente) sono di Giovanni Savonuzzi, direttore tecnico della Casa, e a conferma di questo le primissime Cisitalia 202 MM aerodinamiche. Quelle con le “pinne” posteriori, furono realizzate da Alfredo Vignale, che poi invece costruirà solo i 17 esemplari di cabriolet prodotti, dalla carrozzeria Colli, e da una sconosciuta carrozzeria Garelli.
Pininfarina venne dopo, ma tutte le altre vetture successive portano il segno della Cisitalia, che influenza tutta la produzione dei coupè di quegli anni, dalla berlinetta Maserati A 6 G del 1948, alla coupè Fiat 1100 ES del 1949 (che segna, tra l’altro, la nascita industriale della Pininfarina). Niente più splendidi “dinosauri”. Una frontiera nuova si apre allo stile italiano nel mondo intero. Queste linee lasciano il segno.
Un’esemplare Pininfarina al MoMA di New York
E così la Cisitalia entra nei musei ancora con la vernice fresca della fabbrica. Un esemplare al M.O.M.A. (Museum of Modem Art) di New York, rimasto lì (nella sezione architettura e design) dopo la mostra “Eight Automobiles” realizzata da Arthur Drexler nell’autunno del 1951. Un altro esemplare al Museo dell’Auto “Biscaretti” di Torino.
Ancora uno, rosso, presso il Museo della stessa Pininfarina. Le poche altre sono rimaste nelle mani gelosissime di alcuni collezionisti, che le amano a tal punto di aver creato ben due edizioni di un libro che le celebra. L’ Aurelia B20, cui la Pinfarina, dopo I primi 100 esemplari costruiti dalla Ghia, porta il suo contributo, di questo stile rappresenta probabilmente il vertice. Una carrozzeria berlinetta, diventata famosa per essere concepita come una Gran Turismo per le sue doti sportive non disgiunte dal comfort dì una vera macchina di lusso. Al suo esordio in corsa, subito dopo lo presentazione, la B20 di Bracco e Maglioli conquista alla Mille Miglia il secondo posto assoluto. Le automobili degli anni ’50 non fanno che riconfermare la qualità e l’equilibrio raggiunti dalla carrozzeria Pinfarina.
L’incontro tra Pininfarina e Ferrari
L’incontro con la Ferrari è in un certo senso storico. Quasi un matrimonio. Pininfarina realizza la sua prima Ferrari per un cliente importante, quel Georges Filippinetti che sarà poI il patron della famosa scuderia svizzera. Sitratta di una 212 Inter cabriolet del 1952, caratterizzata da una modanatura cromata a contorno della mascherina ovale e dalla presa d’aria sul cofano. Disegnata in modo da abbassarlo otticamente.
La seconda 212 Inter sarà una coupè molto simile, costruita per un altro cliente importante: Luigi Chinetti, capo della N.A.R.T. (North American Racing Team). In tutto furono csotruiti 17 esemplari di 212 Inter. Da lì nasce la grande attrazione tra Ferrari e Battista e finalmente arrivano le berlinette e le spider da corsa tipo 250 e 375 “Mille Miglia”, che tanto avrebbero fatto parlare di sè. Era stata avviata una nuova e duratura intesa.
L’ingresso nel settore della vendita diretta
Un atro passo avanti la ormai rinomata carrozzeria lo fa quando costruisce i coupè su meccanica Fiat 1100 TV, nel 1953: per la prima volta Pinifarina entra nel settore della vendita diretta, con una capillare rete commerciale, che vende la 1100 TV in ben 780 esemplari! Per l’epoca un record. Ma le corse sono (e resteranno sempre) gli “occhi” e il “cuore” dell’auto per il grande pubblico, che “scopre” lo sport e la velocità, attraverso l’immagine delle vetture partecipanti e la Pininfarina contribuisce a formare, con le Lancia 0.24 Sport e con tutte le Ferrari da corsa di quegli anni, il patrimonio di passione prima e di esperienza poi, che sarà utilizzato per la produzione.
E nel cuore degli italiani, e non solo, Pininfarina entra quando progetta il suo forse più fortunato e diffuso modello: l’Alfa Romeo “Giulietta” Spider. E’ il 1954 e i tempi sono maturi perchè finalmente Pininfarina diventi un industriale della carrozzeria: prende avvio la produzione in grande serie. Fino al salvo qualche particolare, ne vennero costruite oltre 27 .000 esemplari. L’estrema durezza di linea, contraddistinta dall’accenno di “pinne” posteriori, sottolineate dal leggero sbalzo della linea laterale, la mascherina stilizzata con le prese d’aria semplificate ma tipicamente Alfa Romeo, il leggero paraurti anteriore in due pezzi, dimostrano che la mano sapiente ha saputo modellare quello che universalemente gli è riconosciuto come il secondo capolavoro. Ma seppure in più piccola serie, altri capolavori emergevano dal grande lavorio delle officine.
La Ferrari 250 GTO
Nasce la prima Ferrari 250 G.T. costruita nel 1956 per il comm. Ferrari, dalla classica mascherina ovale, nella quale trova posti un curioso emblema del cavallino (che ricorda le Wiglie Maserati dell’epoca) un altra bella 250 cabriolet fucostruita per il cav. Fassio, con la inconsueta soluzione dello sportello lato guida sagomato diversamente da quello destro (per consentire al pilota, forse “extra large”, di poggiare più in basso il gomito).
Ma forse la più bella 250 fu il coupè progettato per il principe Bernardo d’Olanda, grande appassionato e conoscitore delle Ferrari, che nel 1957 ne seguì addirittura personalmente i lavori. La vettura, dipinta di nero, aveva una linea slanciata e pulita con una ancor più bella coda, sul cofano della quale spiccava, per la prima volta, il famoso stemma a bandierine incrociate con la P e la F.
Per la verità la macchina del principe non rimase esclusiva: Pininfarina infatti ne costruì un’altra, ma su telaio 410 Super America, per l’olandese De Koon, la cui unica differenza era il tetto dipinto in colore contrastante. Segm tutta la serie delle 250, costruite in oltre 350 esemplari, che diventerà famosa negli anni dopo il ’60.
I prototipi della Lancia Aurelia
Nello stesso periodo nascono i prototipi Lancia Aurelia B56 “Florida’ del 1955, come nelle varie versioni e fino alle Giulia, identiche nella linea, struita in tre esemplari, e la Lancia Aurelia B24 Spider del 1954.
Dalla prima nacque la splendida berlina Flaminia del 1957 e “Florida II”, nota per essere stata usata a lungo personalmente da Pininfarina nacque la corrispondente Flaminia Coupè di serie del 1959 costruita in 5.235 unità. La seconda è stata sempre considerata la “sorella maggiore” della Giulietta, un simbolo di un’epoca spensierata e rampante (ricordate il film “Il sorpasso”?); costruita con grande successo, in due serie, per un totale di 756 esemplari.
Ma fra tante vetture celeri ce ne furono anche alcune che invece nessuno ricorda: possono apparire meno riusciti (ma sempre interessanti) certi esperimenti d’avanguardia che a volte non portarono a risultati congeniali: così ad esempio la P.F. 200 su base Lancia, oppure alcune americane. Uno in particolare di questi “brutti anatroccoli” merita un pò di attenzione, perchè avrebbe potuto rappresentare la spinta per una Ferrari che … non nacque mai.
Si tratta di un prototipo per una piccola coupè realizzato per la Zundapp (proprio quella delle famose moto), che somiglia proprio tanto a quelle mini-Ferrari che il commendatore aveva progettato di fare, ma che non realizzò.
Erano gli anni delle grandi coupè, delle grandi berline, delle “speciali”. Non c’era posto per le piccole vetture, soprattuto con tanto nome, anche se i temi e le linee più semplici, dopo i tocchi magici di Pinin, modellatore e architetto dell’auto, abituato a pensare in grande, con un una fusione perfetta fra dettami delle leggi aerodinamiche e quel mondo di forme che ha saputo creare, diventano insospettatamente “belli”.
Pininfarina anche in Oriente
In quegli anni per la Ferrari, Pininfarina realizzo le sue idee migliori, sia carrozzando tipiche vetture per i clienti (la sua prima Ferrari ‘privata” come abbiamo visto, fu una “Inter” del 1952), sia rivestendo le berlinette e le spider da corsa tipo “M.M.”. Da allora non ha più smesso di carrozzare Ferrari, creando alcuni modelli di bellezza straordinaria che ben presto hanno diffuso il suo nome fin nei paesi più remoti (oggi persino in … Cina e, pensate, anche in Thailandia!). Nello stesso tempo egli si rese conto, in anticipo rispetto a chiunque altro, che la ripresa delle vetture “uniche” era destinata a vita breve, e che i tempi dei costruttori fuori serie stavano per finire. Questa intuizione lo salvò dalla fine che invece colpì molte altre carrozzerie, prese alla sprovvista dal susseguirsi degli eventi.
Ma quale strada scegliere per sopravvivere? Da un fato il buon nome creatosi aiutò il proseguimento intenso dei rapporti con le grandi Case mondiali, per le quali la Pininfarina divenne lo studio di progettazione. La Nasch, in America e la Austin Morris in Inghilterra furono tra le prime. La Peugeot e si rinnovò con questa formula la vecchia collaborazione con la Lancia. In quegli stessi anni si stabilì con la Ferrari una intesa che ha conservato, forse unico caso, la dimensione vincolata al passato: eleganza e rifiniture di prim’ordine, solo per pochi clienti privilegiati.
Le possibilità Ferrari
La Ferrari ha sempre offerto a Pininfarina la possibilità di realizzare la sua principale ambizione: essere “dentro” il progetto fin dall’inizio, fin dalla prima embrionale idea. A diversi criteri si è ispirata la produzione iniziata per Lancia e Alfa Romeo prima e per la Peugeot e Fiat dopo. E’ stato il realizzarsi della seconda alternativa per la sopravvivenza: la costruzione in serie, anche in totale sostituzione della casa committente. Quello che è stato straordinario nella storia della Pininfarina è che questa tradizione, nel passaggio di consegne da padre a figlio, si è tramandata.
La magia della linea Pininfarina non fu perduta, infatti, quando un giovanissimo Sergio Pininfarina, affiancato da Enzo Carli, subentrò nel 1961 al padre. Forse solo sul piano stilistico, le vetture diventano più “a uda ci”, quasi a far fronte ad un fervore creativo intensissimo. La morte di Battista Pininfarina, avvenuta nel 1966, non interrompe questo “flusso”. Accanto alla ricerca formale pura, continua lo studio aerodinamico che, contrariamente a quanto avvenuto presso altri carrozzieri, si sviluppa in maniera scientifica, senza “scimmiottare” forme prese a prestito da aerei o dalla stessa natura (es. la goccia, etc.). Ne è un esempio la produzione delle famose vetture da record su telai Fiat Abarth, iniziata nel 1957 con la 750, vincitrice di 15 primati, continuata nel 1958 con la 500, che ne conquistò 22, per finire nel 1960 con la 1000 che ne vinse addirittura uno mondiale, tutte caratterizzate da forme aerodinamiche esasperate ed efficaci.
La presentazione al Salone di Torino del 1960
Altro esempio atipico è la vettura romboidale, presentata al Salone di Torino del 1960 con meccanica Fiat 1100, denominata semplicemente “X”. Carenza di fantasia? Niente affatto! Solo che la vettura era caratterizzata da una impostazione meccanica assolutamente inedita per l’epoca, resa possibile dalla disposizione a rombo delle ruote, con una carrozzeria rivoluzionaria. L’eccezionale penetrazione aerodinamica (pensate, il coefficiente CX era uguale a 0,2!) definiva una forma ogivale con proiettori incassati a filo lamiera e due pinne posteriori stabilizzatrici. Il sistema di sterzo era affidato alla sola unica ruota anteriore. Vi assicuro che la vettura marciava davvero! Con lo stesso concetto, ma su telaio tradizionale (quello della Fiat 600) nel 1961 ne venne realizzato un altro esemplare denominato (questo sì senza fantasia) “Y”.
Quest’ultima è stata a lungo conservata presso la collezione “Harrah” di Reno, nel Nevada. Ma sono già gli anni delle grandi berlinette Ferrari, e poi verranno quelli dell’Alfa Romeo “Duetto”, della 124 Spider, della “Dino”. Per le sue “dream cars rosse”, la Pinifarina sceglie di preferenza chassis sportivi, che la svincolano da rigidi limiti dimensionali. Da questi concetti nascono le Ferrari G.T.O, “Le Mans”, la “P.3”, la “P.5” del 1968-69, che sono in pratica la stessa idea su meccaniche diverse.
Il lancio delle berlinette di Pininfarina
Sono ancora linee “vecchio stile”, decisamente tondeggianti, che seguono come un guanto la struttura e avvolgono le ruote: design funzionale e senza compromessi con l’ingegneria della vettura, tale da piacere anche al di fuori della pista. Della Le Mans, per esempio, vennero costruiti alcuni esemplari stradali, con piccole modifiche.
Del 1960 è la più amata delle berlinette “casa-strada-ufficio-casa”: quella “250 GT SWB ‘, il cui studio formale, iniziato sulla base del coupè “Mexico Competizione” e continuato con successo sulla “375 M.M.”, si concretizza in questo modello, nel quale si raggiunge un perfetto equilibrio di proporzioni. In breve diviene “la Ferrari” per antonomasia, anche per le numerose vittorie sportive su tutti i circuiti del mondo.
La “250 Le Mans” è discendente diretta della “250 P.”, vincitrice della 24 ore di Le Mans del 1963 con Bandini e Scarfiotti, ed è da ricordare anche perchè è il primo modello carrozzato da Pininfarina con motore centrale a 12 cilindri.
La serie 250
La serie delle 250 è notevole per quantità e varietà di disegni (avrei voluto parlarvi di tutte, ma lo spazio non è sufficiente), e culmina con la versione GTL “Lusso”, nella quale tutte le connotazioni sportive si fondono con l’eleganza e la ricchezza di finiture, tipiche della marca. Un altro dei capolavori della Pininfarina di quegli anni è la “275 GTB “, presentata al Salone di Parigi del 1964. Una berlinetta tradizionale a motore anteriore, dal lungo cofano a profilo deportante, proiettori carenati, parabrezza molto avvolgente. Con un complessivo disegno lenticolare, in cui il “fast back” è caratterizzato da gradevoli feritoie che alleggeriscono l’intera sezione.
La fiancata, nella quale spiccano 4 ampi sfoghi d’aria (quasi branchie di squalo) è interrotta bruscamente dal taglio della coda tronca, eredità della “250 Le Mans”. Sarà prodotta da Scaqlietti in una serie di 455 unità. ton quella sensibilità che gli è propria vengono fin dal 1963 studiate particolari soluzioni nel campo della sicurezza, che apportano un notevole contributo alle ricerche su tale problema e che sono progettate e realizzate da Pininfarina, con la collaborazione di “Quattroruote”, dopo varie esposizioni a saloni e musei, verrà presentata nel 1966 al Senato americano, massima espressione legislativa mondiale in fatto di sicurezza automobilistica. I requisiti di sicurezza passiva ed attiva sono una struttura a resistenza differenziata, protezione dell’abitacolo dalla penetrazione delle parti meccaniche, piantone dello sterzo deformabile (è il primo esempio) sia assialmente che radialmente e volante con la parte centrale imbottita (la prima idea dell’attuale airbag).
La “Dino Berlinetta Speciale”
Le due portiere sono scorrevoli all’indietro, con maniglione centrale; inoltre la linea della vettura è totalmente esente da asperità, con superfici lisce ed addolcite. Unico elemento di richiamo con il passato sono i gruppi ottici che ricordano quelli delfa Ferrari 330. Al Salone di Parigi del 1965 è esposto il prototipo di un’altra “vettura del cuore”. Si tratta di quella “Dino Berlinetta Speciale”, discendente anch’essa da una vettura da corsa, la “Dino Sport”, campione europea della montagna del ’65.
La sua impostazione stilistica trae origine da una forma lenticolare nella quale si innestano le carenature per le ruote ed il padiglione. Quest’ultimo caratterizzato da quel lunotto verticale e dal cofano motore tra le pinne, che costituirà l’impostazione base di tutte le successive Ferrari Pininfarina a motore centrale.
Il prototipo è caratterizzato dai doppi fari carenati su un sottile cofano deportante, la fiancata a diedro si svuota in uno sguscio che dà origine alla famosa presa d’aria per il raffreddamento del vano motore e per l’alimentazione, che è un segno di riconoscimento delle Ferrari, fino alle più recenti. Derivate dalle linee della Dino di serie furono realizzate alcune particolari vetture, denominate” 365 P.”: si trattò di due esemplari di berlinetta a 3 posti con guida centra1e (di cui una costruita per Gianni Agnelli).
La parte superiore del padiglione è trasparente (questa era una richiesta specifica di Agnelli, su tutte le vetture speciali da lui possedute) con vetro atermico, e per facilitare l’entrata e l’uscita il sedile centrale era scorrevole e girevole con un particolare meccanismo a sfere. Venne poi il periodo delle grandi vetture aperte di serie. Si iniziò con l’Alfa Romeo “Osso di Seppia”, che addirittura ha origini car’ di ben dieci anni Prima.
La Duetto di Pininfarina
Furono le vetture “nonne ‘ della ancora attuale “Duetto”. La prima realizzazione del 1956 è una vettura su telaio 3500, e si chiamò “Super Flow 1 °”; era una costruzione stranissima: due posti secchi, guida destra, una coppia di pinne da fare invidia alla “Batmobile”, un lunotto gigantesco, che seguiva una copertura dell’abitacolo, totalmente in vetro trasparente. Ma la cosa più strana di tutte erano le ruote anteriori che sporgevano in parte dalla carrozzeria metallica ed erano coperte da una carenatura in plexiglass, che si prolungava a coprire anche i fari, anch’essi sporgenti e dotati di calotte cromate: un effetto shock!
La vettura, dipinta in bianco, colpì molto la fantasia, tanto che addirittura andò a finire sui fumetti! Infatti, per molto tempo, fu ripresa da Jean Graton per le sue famose strisce di “Michel Vaillant”. Questa straordinaria vettura fu seguita dalla “Super Flow II” che ne riprendeva alcuni tratti (sparivano le coperture in plastica delle ruote e le pinne venivano ridotte otticamente) ma che aggiungeva alcuni dettagli come l’apertura dei vetri a “farfalla”.
La terza realizzazione, in cui è quasi identica la linea (soprattutto nella fiancata con la famosa concavità) è del 1959 e si chiamava semplicemente “Spider Super Sport”, ma manteneva ancora il motore da 3500. Fu seguita subito dopo da una versione chiusa (ma al solito il tetto era completamente trasparente) in cui la linea, riprendendo i tratti che vedremo sulla Duetto, diviene ancora più slanciata e ricorda· akune Ferrari 400.
L’esposizione al museo “Rosso Bianco” di Peter Kaus
Questa vettura è ancora esistente e si trova in Germania presso il museo “Rosso Bianco” di Peter Kaus. Il quinto esercizio è del 1961 ed è su telaio “Giulietta SS”, caratterizzato sempre dal tetto trasparente che si solle vava elettricamente, unitornente al lunotto per consentire un migliore accesso all’abitacolo. Ne venne realizzata anche una versione spider, presentata al Salone di Torino dello stesso anno. E, finalmente, arrivò la “Duetto” 1600 del 1966, che venne prodotta fino al 1970 in circa 15.000 esemplari, sostituita poi dalla meno bella variante a coda tronca, che con le opportune migliorie viene ancora oggi prodotta.
Purtroppo non abbiamo una terza puntata per parlarvi di tutte le belle vetture che Pininfarina costruì in quegli anni (ma sono davvero tante tra prodotte e pezzi unici). Mi limiterò a elencarvi le più interessanti e quelle di maggior successo. Tra le “dream car” chi non ricorda la “Sigma Grand Prix”, presentata al Salone di Ginevra del 1969, nata per contribuire con dispositivi e concetti originali alla sicurezza delle F. l. Oppure ancora la “Modulo” su telaio Ferrari 512/S. Presentata sempre a Ginevra nel 1970 e esposta all’Expo di Osaka nello stesso anno?
La bella Abarth OT 2000 di Pininfarina
Quacuno potrà non ricordare la altrettanto bella Abarth “OT 2000”. Una impressionante “show car” presentata al Salone di Bruxelles nel 1969, dalle linee estremamente tese e pulite. In contrasto con la complessità meccanica del potente motore, praticamente tutto a vista. Oggi questo prototipo è proprietà di un collezionista giapponese.
Praticamente la stessa vettura su telai diversi: grinta da vendere derivata da un profilo costituito da una linea continua che unisce cofano, padiglione e posteriore. Le vetture si differenziano dal diverso trattamento dei fari (in vista e in fila per la Ferrari, a scomparsa per l’Alfa) e per il trattamento della coda, con le classiche alettature per la Ferrari che si rivedranno anni dopo sulla Testarossa. Classiche rimangono invece le Ferrari GTB BB (Berlinetta Boxer), la Fiat 130 Coupè e la (purtroppo non costruita in serie) splendida versione break “Maremma”. Le Peugeot 504, le Fiat Dino Sr,ider, le Lancia Beta “Montecarlo’. Tutta la serie delle Ferrari GTB 308 e 208. Le Lancia “Gamma”, la Jaguar XJ-S Spider prototipo, la splendida Ferrari “Pinin”. Un’unica Ferrari progettata con 4 porte che seppure non marciante (era previsto il 12 cilindri boxer anteriore) è stata acquistata recentemente da un fortunato collezionista straniero. La Ferrari “Testarossa”, la Lancia “Thema”, l’Alfa 164, la Ferrari F.40, la “Mythos”.
Sono, queste vetture, il riassunto e la condensa di tutte le esperienze maturate dalla Pininfarina in quasi 70 anni di attività. Giovanbattista Pininfarina fu tra i protagonisti della ripresa italiana. Lo è ancora oggi il suo marchio, accolto a braccia aperte ad ogni nuova “creatura”, ed il cui fermento è di stimolo ai prosecutori dell’opera di “Pinin”. Un giorno, lontanissimo, sui libri di storia dell’arte leggeranno: ” … discendenti di Leonardo e Michelangelo, i costruttori Pininfarina scolpirono … l’automobile”.