Pininfarina: un carrozziere dallo stile industriale

Pininfarina: la storia per la nostra rubrica dedicata ai carrozzieri

Tratto da Sicilia Motori – Anno XII n. 8 e 9 (145-146), Agosto-Settembre 1993 

di Francesco Ragusa – Riproduzione riservata

Una leggenda. Solo così si può definire l’opera di que­sto carrozziere: una storia “sbalzata” sulle lamiere dei suoi capolavori. Formatosi sin dall’adolescenza nell’azienda del fratello Giovanni, gli “stabili­menti Farina“, Battista, detto “Pi­nin” alla fine degli anni ’20 lascia l’azienda familiare e, dopo un viaggio negli Stati Uniti per co­noscere le moderne tecniche au­tomobilistiche. Apre una propria carrozzeria a Torino, impostando la produzione con metodi indu­striali ed’ avanguardia. E’ il 30 giu­gno 1930.

L’apertura della nuova sede Pininfarina

Sede nuova, ma tradi­zioni antiche. Oltre al dono inna­to di un grande talento creativo, con il quale l’azienda cresce rapi­damente e si afferma in campo anche internazionale. Per la bel­lezza di vetture speciali come le Alfa Romeo 8 e 6 cilindri, i coupè Hispano-Suiza, le Lancia Di­lambda e Astura, le Fiat Ardita Tipo 527 E, tra le prime vetture da corsa. Il rivoluzionario Coupè ae­rodinamico Lancia Aprilia. Era ­prorio nel “rivoluzionario” la carrozzeria Pini­farina. Non tanto quindi nella creazione di eleganti “involucri” per telai in genere costosi, quan­to nell’influenza che esercita sul design automobilistico. Un inno­vatore.

Ma i suoi primi clienti (fin da subito “importanti”, tra i pri­mi vi fu addirittura il marahja di Cahore ed il conte Felice “Didi” Trassi, famoso pilota di quegli anni) non volevano “stravagan­ze”, ma la ricerca di una coeren­za formale tra i vari volumi. An­che usando forme che a rima vi­sta potevano sembrare “insolite” e “disparate”. Suggestioni assimi­late da quelle “pretenziose” dei carrozzieri francesi. Oppure quel­le aerodinamiche degli studi tedeschi o ancora quelle “monu­mentali” degli americani coniu­gate con quella sua “linea tori­nese”. Sobria e rigorosa. Un forte senso della “moda” improntava il suo lavoro e di fatto egli non mascherava questo linguaggio.

La chiave del suo successo era ap­punto saper guardare le idee de­gli altri per poi sperimentarle, proiettandosi in avanti. Al di so­pra delle “mode”, tutte le idee ve­nivano migliorate ed adattate ai suoi scopi. Dopotutto non è cre­dibile che l’uomo “Pinin” dise­gnasse e realizzasse personal­mente tutti i veicoli che portano il suo marchio.

Pininfarina, capace di sintetizzare le proposte

Non lo si offende dicendo che egli era un abile “art director”, capace di sintetizzare le proposte di un gruppo di lavoro, amalgamandole con un’impron­ta inconfondibile. Spesso impo­nendo rifacimenti di intere parti di vetture, a poche ore dalla loro presentazione ufficiale. I “falsi coupè” decapottabili realizzati su telai Lancia ottennero un succes­so travolgente ed egli cominciava ad avvertire, ad esempio, l’esi­genza del parabrezza ricurvo. No­nostante l’industria non li produ­cesse ancora. Oppure la sostituzione del radiatore di fabbrica o lo spostamento delle prese d’aria da verticali ad orizzontali.

In quei primi anni ’30 presentò vet­ture tra le più belle mai viste. Due auto possono dare un’idea della ricerca di Pininfarina di un suo stile personale. Si tratta dell’Alfa Romeo 2300 8 C del 1933, tipo “Victoria” nella quale certe so­luzioni bugattiane (abitacolo spostato indietro, taglio dei fine­strini, forma del padiglione) ven­gono riproposte in nuova versio­ne. E di un’altra Alfa Romeo su telaio 6 C tipo “Pescara” del 1934, vincitrice di categoria al concorso d’eleganza di Torino. Che conferma la ricerca di ad­dolcire le forme, come dimostra­no lo slancio dei parafanghi an­teriori, la forma del radiatore e soprattutto la fusione del baga­gliaio (e della ruota di scorta, finora esterna) con il resto della carrozzeria. E’ una berlinetta ae­rodinamica del 1934.

pininfarinaL’Aprilia Coupe

Le linee si arrotondano, i parafanghi di­ventano più avvolgenti anche nelle vetture prodotte su misura per i clienti. L’influenza aerodi­namica è evidente. Ma queste li­nee lasciano il segno soprattutto nell’Aprilia Coupe del 1936-37 a profilo alare. Una delle creazio­ni più interessanti del periodo anteguerra. Il suo padiglione ra­stremato a “goccia”, il parabrez­za curvo realizzato tutto in plexi­glass la fanno veramente inno­vativa. Ne furono realizzati solo tre esemplari, di cui due con la calandra verticale e una con quello che è il primo esempio in assoluto di mascherina orizzon­tale.

Nel 1939 la Pininfarina ha già ben 500 dipendenti e realiz­za circa 800 vetture all’anno. Non c’è che dire. Una bella im­presa, a neppure dieci anni dopo essere nata. Dopo la ben nota pa­rentesi bellica, durante la quale costruisce di tutto, dalle au­toambulanze ai sedili d’aereo  (quelli per il Fiat G.12) e persino … cucine. Pininfarina torna alle automobili.

E lo fa in maniera tale che il suo nome echegghia in tutto il mondo per la estrema arditezza del suo disegno. Crea su­bito un capolavoro, quello che sarà definito un esempio di “scul­tura in movimento”. Si tratta del­la Cisitalia 202 Gransport Coupè, prodotta in 153 esemplari a par­tire dal 1947. E che fu esposta, dopo l’esordio al concorso di ele­ganza di Villa Olmo a Como, per fa prima volta in campo inter­nazionale proprio al Salone di Parigi dello stesso anno. Nel tem­pio della pretenziosità veniva proposta una vettura dalle “pro­vocanti” forme semplici, arro­tondate, senza neppure una cro­matura superflua a far bella mo­stra di sè. E, cosa ancora più importante, con una linea aerodi­namica da fare “paura” (agli al­tri produttori).

La Cisitalia

La carrozzeria è concepita come un monolito le­vigato, i parafanghi, non più staccati appaiono integrati nel corpo della vettura. Li cofano an­teriore, dotato di un originale si­stema multiplo di apertura, è an­cora più basso di quest’ultimi, come non si era mai visto prima. Dal punto di vista strutturale la Cisitalia è dotata di un telaio tu­bolare eccezionalmente ribassa­to e disegnato in previsione delle forme della carrozzeria. Ma per la verità i primi disegni della “Cis Italia” (come si chiamava inizialmente) sono di Giovanni Sa­vonuzzi, direttore tecnico della Casa, e a conferma di questo le primissime Cisitalia 202 MM ae­rodinamiche. Quelle con le “pinne” posteriori, furono realizzate da Alfredo Vignale, che poi inve­ce costruirà solo i 17 esemplari di cabriolet prodotti, dalla carrozze­ria Colli, e da una sconosciuta carrozzeria Garelli.

Pininfarina venne dopo, ma tutte le altre vet­ture successive portano il segno della Cisitalia, che influenza tut­ta la produzione dei coupè di que­gli anni, dalla berlinetta Masera­ti A 6 G del 1948, alla coupè Fiat 1100 ES del 1949 (che segna, tra l’altro, la nascita industriale del­la Pininfarina). Niente più splen­didi “dinosauri”. Una frontiera nuova si apre allo stile italiano nel mondo intero. Queste linee la­sciano il segno.

Un’esemplare Pininfarina al MoMA di New York

E così la Cisitalia entra nei musei ancora con la ver­nice fresca della fabbrica. Un esemplare al M.O.M.A. (Museum of Modem Art) di New York, ri­masto lì (nella sezione architet­tura e design) dopo la mostra “Ei­ght Automobiles” realizzata da Arthur Drexler nell’autunno del 1951. Un altro esemplare al Mu­seo dell’Auto “Biscaretti” di Tori­no.

Ancora uno, rosso, presso il Museo della stessa Pininfarina. Le poche altre sono rimaste nelle mani gelosissime di alcuni colle­zionisti, che le amano a tal pun­to di aver creato ben due edizio­ni di un libro che le celebra. L’ Au­relia B20, cui la Pinfarina, dopo I primi 100 esemplari costruiti dalla Ghia, porta il suo contribu­to, di questo stile rappresenta pro­babilmente il vertice. Una car­rozzeria berlinetta, diventata fa­mosa per essere concepita come una Gran Turismo per le sue doti sportive non disgiunte dal comfort dì una vera macchina di lusso. Al suo esordio in corsa, subito dopo lo presentazione, la B20 di Brac­co e Maglioli conquista alla Mil­le Miglia il secondo posto assolu­to. Le automobili degli anni ’50 non fanno che riconfermare la qualità e l’equilibrio raggiunti dalla carrozzeria Pinfarina.

pininfarinaL’incontro tra Pininfarina e Ferrari

L’incontro con la Ferrari è in un cer­to senso storico. Quasi un matri­monio. Pininfarina realizza la sua prima Ferrari per un cliente importante, quel Georges Filip­pinetti che sarà poI il patron della famosa scuderia svizzera. Sitratta di una 212 Inter cabriolet del 1952, caratterizzata da una modanatura cromata a contor­no della mascherina ovale e dal­la presa d’aria sul cofano. Dise­gnata in modo da abbassarlo ot­ticamente.

La seconda 212 Inter sarà una coupè molto simile, co­struita per un altro cliente im­portante: Luigi Chinetti, capo della N.A.R.T. (North American Racing Team). In tutto furono csotruiti 17 esemplari di 212 In­ter. Da lì nasce la grande attra­zione tra Ferrari e Battista e fi­nalmente arrivano le berlinette e le spider da corsa tipo 250 e 375 “Mille Miglia”, che tanto avreb­bero fatto parlare di sè. Era stata avviata una nuova e duratura intesa.

L’ingresso nel settore della vendita diretta

Un atro passo avanti la ormai rinomata carrozzeria lo fa quando costruisce i coupè su meccanica Fiat 1100 TV, nel 1953: per la prima volta Pinifa­rina entra nel settore della ven­dita diretta, con una capillare rete commerciale, che vende la 1100 TV in ben 780 esemplari! Per l’epoca un record. Ma le cor­se sono (e resteranno sempre) gli “occhi” e il “cuore” dell’auto per il grande pubblico, che “scopre” lo sport e la velocità, attraverso l’immagine delle vetture parteci­panti e la Pininfarina contribui­sce a formare, con le Lancia 0.24 Sport e con tutte le Ferrari da cor­sa di quegli anni, il patrimonio di passione prima e di esperienza poi, che sarà utilizzato per la pro­duzione.

E nel cuore degli italia­ni, e non solo, Pininfarina entra  quando progetta il suo forse più fortunato e diffuso modello: l’Alfa Romeo “Giulietta” Spider. E’ il 1954 e i tempi sono maturi perchè finalmente Pininfarina diventi un industriale della car­rozzeria: prende avvio la produ­zione in grande serie. Fino al salvo qualche particolare, ne vennero costruite oltre 27 .000 esemplari. L’estrema durezza di linea, contraddistinta dall’ac­cenno di “pinne” posteriori, sot­tolineate dal leggero sbalzo del­la linea laterale, la mascherina stilizzata con le prese d’aria sem­plificate ma tipicamente Alfa Ro­meo, il leggero paraurti anterio­re in due pezzi, dimostrano che la mano sapiente ha saputo mo­dellare quello che universale­mente gli è riconosciuto come il secondo capolavoro. Ma seppure in più piccola serie, altri capola­vori emergevano dal grande la­vorio delle officine.

pininfarinaLa Ferrari 250 GTO

Nasce la pri­ma Ferrari 250 G.T. costruita nel 1956 per il comm. Ferrari, dalla classica mascherina ovale, nella quale trova posti un curioso em­blema del cavallino (che ricorda le Wiglie Maserati dell’epoca) un altra bella 250 cabriolet fuco­struita per il cav. Fassio, con la inconsueta soluzione dello spor­tello lato guida sagomato diver­samente da quello destro (per consentire al pilota, forse “extra large”, di poggiare più in basso il gomito).

Ma forse la più bella 250 fu il coupè progettato per il prin­cipe Bernardo d’Olanda, grande appassionato e conoscitore delle Ferrari, che nel 1957 ne seguì ad­dirittura personalmente i lavori. La vettura, dipinta di nero, ave­va una linea slanciata e pulita con una ancor più bella coda, sul cofano della quale spiccava, per la prima volta, il famoso stemma a bandierine incrociate con la P e la F.

Per la verità la macchina del principe non rimase esclusi­va: Pininfarina infatti ne costruì un’altra, ma su telaio 410 Super America, per l’olandese De Koon, la cui unica differenza era il tet­to dipinto in colore contrastante. Segm tutta la serie delle 250, co­struite in oltre 350 esemplari, che diventerà famosa negli anni dopo il ’60.

I prototipi della Lancia Aurelia

Nello stesso periodo nascono i prototipi Lancia Au­relia B56 “Florida’ del 1955, come nelle varie versioni e fino alle Giulia, identiche nella linea, struita in tre esemplari, e la Lan­cia Aurelia B24 Spider del 1954.

Dalla prima nacque la splendida berlina Flaminia del 1957 e “Flo­rida II”, nota per essere stata usa­ta a lungo personalmente da Pi­ninfarina nacque la corrispon­dente Flaminia Coupè di serie del 1959 costruita in 5.235 unità. La seconda è stata sempre conside­rata la “sorella maggiore” della Giulietta, un simbolo di un’epo­ca spensierata e rampante (ri­cordate il film “Il sorpasso”?); co­struita con grande successo, in due serie, per un totale di 756 esemplari.

Ma fra tante vetture celeri ce ne furono anche alcu­ne che invece nessuno ricorda: possono apparire meno riusciti (ma sempre interessanti) certi esperimenti d’avanguardia che a volte non portarono a risultati congeniali: così ad esempio la P.F. 200 su base Lancia, oppure alcune americane. Uno in parti­colare di questi “brutti anatroc­coli” merita un pò di attenzione, perchè avrebbe potuto rappre­sentare la spinta per una Ferrari che … non nacque mai.

Si tratta di un prototipo per una piccola coupè realizzato per la Zundapp (proprio quella delle famose moto), che somiglia proprio tan­to a quelle mini-Ferrari che il commendatore aveva progettato di fare, ma che non realizzò.

Era­no gli anni delle grandi coupè, delle grandi berline, delle “spe­ciali”. Non c’era posto per le pic­cole vetture, soprattuto con tan­to nome, anche se i temi e le li­nee più semplici, dopo i tocchi magici di Pinin, modellatore e ar­chitetto dell’auto, abituato a pensare in grande, con un una fu­sione perfetta fra dettami delle leggi aerodinamiche e quel mon­do di forme che ha saputo crea­re, diventano insospettatamente “belli”. 

pininfarinaPininfarina anche in Oriente

In quegli anni per la Ferrari, Pininfarina realizzo le sue idee migliori, sia carrozzando tipiche vetture per i clienti (la sua prima Fer­rari ‘privata” come abbiamo vi­sto, fu una “Inter” del 1952), sia rivestendo le berlinette e le spider da corsa tipo “M.M.”. Da allora non ha più smesso di carrozzare Ferrari, creando alcuni modelli di bellezza straordinaria che ben presto hanno diffuso il suo nome fin nei paesi più remoti (oggi per­sino in … Cina e, pensate, anche in Thailandia!). Nello stesso tem­po egli si rese conto, in anticipo rispetto a chiunque altro, che la ripresa delle vetture “uniche” era destinata a vita breve, e che i tem­pi dei costruttori fuori serie sta­vano per finire. Questa intuizio­ne lo salvò dalla fine che invece colpì molte altre carrozzerie, pre­se alla sprovvista dal susseguirsi degli eventi.

Ma quale strada sce­gliere per sopravvivere? Da un fato il buon nome creatosi aiutò il proseguimento intenso dei rap­porti con le grandi Case mondia­li, per le quali la Pininfarina di­venne lo studio di progettazione. La Nasch, in America e la Austin­ Morris in Inghilterra furono tra le prime. La Peugeot e si rin­novò con questa formula la vec­chia collaborazione con la Lan­cia. In quegli stessi anni si stabilì con la Ferrari una intesa che ha conservato, forse unico caso, la di­mensione vincolata al passato: eleganza e rifiniture di prim’or­dine, solo per pochi clienti privi­legiati.

Le possibilità Ferrari

La Ferrari ha sempre of­ferto a Pininfarina la possibilità di realizzare la sua principale ambizione:  essere “dentro” il proget­to fin dall’inizio, fin dalla prima embrionale idea. A diversi criteri si è ispirata la produzione inizia­ta per Lancia e Alfa Romeo pri­ma e per la Peugeot e Fiat dopo. E’ stato il realizzarsi della secon­da alternativa per la sopravvi­venza: la costruzione in serie, an­che in totale sostituzione della casa committente. Quello che è stato straordinario nella storia della Pininfarina è che questa tra­dizione, nel passaggio di conse­gne da padre a figlio, si è tra­mandata.

La magia della linea Pininfarina non fu perduta, in­fatti, quando un giovanissimo Sergio Pininfarina, affiancato da Enzo Carli, subentrò nel 1961 al padre. Forse solo sul piano stili­stico, le vetture diventano più “a uda ci”, quasi a far fronte ad un fervore creativo intensissimo. La morte di Battista Pininfarina, av­venuta nel 1966, non interrompe questo “flusso”. Accanto alla ri­cerca formale pura, continua lo studio aerodinamico che, contrariamente a quanto avvenuto presso altri carrozzie­ri, si sviluppa in ma­niera scientifica, sen­za “scimmiottare” forme prese a presti­to da aerei o dalla stessa natura (es. la goccia, etc.). Ne è un esempio la produzio­ne delle famose vet­ture da record su te­lai Fiat Abarth, ini­ziata nel 1957 con la 750, vincitrice di 15 primati, continuata nel 1958 con la 500, che ne conquistò 22, per finire nel 1960 con la 1000 che ne vinse addirit­tura uno mondiale, tutte caratte­rizzate da forme aerodinamiche esasperate ed efficaci.

La presentazione al Salone di Torino del 1960

Altro esem­pio atipico è la vettura romboi­dale, presentata al Salone di To­rino del 1960 con meccanica Fiat 1100, denominata semplicemen­te “X”. Carenza di fantasia? Nien­te affatto! Solo che la vettura era caratterizzata da una imposta­zione meccanica assolutamente inedita per l’epoca, resa possibile dalla disposizione a rombo delle ruote, con una carrozzeria rivo­luzionaria. L’eccezionale pene­trazione aerodinamica (pensate, il coefficiente CX era uguale a 0,2!) definiva una forma ogivale con proiettori incassati a filo la­miera e due pinne posteriori sta­bilizzatrici. Il sistema di sterzo era affidato alla sola unica ruota an­teriore. Vi assicuro che la vettura marciava davvero! Con lo stesso concetto, ma su telaio tradizio­nale (quello della Fiat 600) nel 1961 ne venne realizzato un altro esemplare denominato (que­sto sì senza fantasia) “Y”.

Que­st’ultima è stata a lungo conser­vata presso la collezione “Har­rah” di Reno, nel Nevada. Ma sono già gli anni delle grandi ber­linette Ferrari, e poi verranno quelli dell’Alfa Romeo “Duetto”, della 124 Spider, della “Dino”. Per le sue “dream cars rosse”, la Pi­nifarina sceglie di preferenza chassis sportivi, che la svincola­no da rigidi limiti dimensionali. Da questi concetti nascono le Fer­rari G.T.O, “Le Mans”, la “P.3”, la “P.5” del 1968-69, che sono in pratica la stessa idea su mecca­niche diverse.

pininfarinaIl lancio delle berlinette di Pininfarina

Sono ancora linee “vecchio stile”, decisamente ton­deggianti, che seguono come un guanto la struttura e avvolgono le ruote: design funzionale e sen­za compromessi con l’ingegneria della vettura, tale da piacere an­che al di fuori della pista. Della Le Mans, per esempio, vennero costruiti alcuni esemplari strada­li, con piccole modifiche.

Del 1960 è la più amata delle berlinette “casa-strada-ufficio-casa”: quella “250 GT SWB ‘, il cui studio formale, iniziato sulla base del coupè “Mexico Competizio­ne” e continuato con successo sul­la “375 M.M.”, si concretizza in questo modello, nel quale si rag­giunge un perfetto equilibrio di proporzioni. In breve diviene “la Ferrari” per antonomasia, anche per le numerose vittorie sportive su tutti i circuiti del mondo.

La “250 Le Mans” è discendente di­retta della “250 P.”, vincitrice del­la 24 ore di Le Mans del 1963 con Bandini e Scarfiotti, ed è da ri­cordare anche perchè è il primo modello carrozzato da Pininfari­na con motore centrale a 12 ci­lindri.

La serie 250

La serie delle 250 è note­vole per quantità e varietà di di­segni (avrei voluto parlarvi di tut­te, ma lo spazio non è sufficien­te), e culmina con la versione GTL “Lusso”, nella quale tutte le con­notazioni sportive si fondono con l’eleganza e la ricchezza di finiture, tipiche della marca. Un al­tro dei capolavori della Pininfa­rina di quegli anni è la “275 GTB “, presentata al Salone di Parigi del 1964. Una berlinetta tradiziona­le a motore anteriore, dal lungo cofano a profilo deportante, proiettori carenati, parabrezza molto avvolgente. Con un com­plessivo disegno lenticolare, in cui il “fast back” è ca­ratterizzato da gradevoli feritoie che alleggeriscono l’intera sezio­ne.

La fiancata, nella quale spic­cano 4 ampi sfoghi d’aria (quasi branchie di squalo) è interrotta bruscamente dal taglio della coda tronca, eredità della “250 Le Mans”. Sarà prodotta da Sca­qlietti in una serie di 455 unità. ton quella sensibilità che gli è propria vengono fin dal 1963 stu­diate particolari soluzioni nel campo della sicurezza, che ap­portano un notevole contributo alle ricerche su tale problema e che sono progettate e realizzate da Pininfarina, con la collabora­zione di “Quattroruote”, dopo varie espo­sizioni a saloni e musei, verrà pre­sentata nel 1966 al Senato ame­ricano, massima espressione le­gislativa mondiale in fatto di si­curezza automobilistica. I requi­siti di sicurezza passiva ed attiva sono una struttura a resistenza differenziata, protezione dell’abi­tacolo dalla penetrazione delle parti meccaniche, piantone del­lo sterzo deformabile (è il primo esempio) sia assialmente che ra­dialmente e volante con la parte centrale imbottita (la prima idea dell’attuale airbag).

La “Dino Berlinetta Speciale”

Le due por­tiere sono scorrevoli all’indietro, con maniglione centrale; inoltre la linea della vettura è totalmen­te esente da asperità, con super­fici lisce ed addolcite. Unico ele­mento di richiamo con il passato sono i gruppi ottici che ricordano quelli delfa Ferrari 330. Al Salo­ne di Parigi del 1965 è esposto il prototipo di un’altra “vettura del cuore”. Si tratta di quella “Dino Berlinetta Speciale”, discendente anch’essa da una vettura da cor­sa, la “Dino Sport”, campione eu­ropea della montagna del ’65.

La sua impostazione stilistica trae origine da una forma lenticolare nella quale si innestano le care­nature per le ruote ed il padiglio­ne. Quest’ultimo caratterizzato da quel lunotto verticale e dal co­fano motore tra le pin­ne, che costituirà l’impostazione base di tutte le successive Ferrari Pininfarina a motore centrale.

Il prototipo è caratterizzato dai doppi fari carenati su un sottile cofano deportante, la fiancata a diedro si svuota in uno sguscio che dà origine alla famosa presa d’aria per il raffreddamento del vano motore e per l’alimentazio­ne, che è un segno di riconoscimen­to delle Ferrari, fino alle più re­centi. Derivate dalle linee della Dino di serie furono realizzate al­cune particolari vetture, denominate” 365 P.”: si trattò di due esemplari di berlinetta a 3 posti con guida centra1e (di cui una costruita per Gianni Agnelli).

La parte superio­re del padiglione è trasparente (questa era una richiesta spe­cifica di Agnelli, su tutte le vetture spe­ciali da lui possedu­te) con vetro atermi­co, e per facilitare l’entrata e l’uscita il sedile centrale era scorrevole e girevole con un particolare meccanismo a sfere. Venne poi il periodo delle grandi vetture aperte di serie. Si ini­ziò con l’Alfa Romeo “Osso di Seppia”, che addirittura ha origini car’ di ben dieci anni Prima.

La Duetto di Pininfarina

Fu­rono le vetture “nonne ‘ della an­cora attuale “Duetto”. La prima realizzazione del 1956 è una vet­tura su telaio 3500, e si chiamò “Super Flow 1 °”; era una costru­zione stranissima: due posti sec­chi, guida destra, una coppia di pinne da fare invidia alla “Bat­mobile”, un lunotto gigantesco, che seguiva una copertura dell’abitacolo, totalmente in ve­tro trasparente. Ma la cosa più strana di tutte erano le ruote an­teriori che sporgevano in parte dalla carrozzeria metallica ed erano coperte da una carenatura in plexiglass, che si prolungava a coprire anche i fari, anch’essi sporgenti e dotati di calotte cro­mate: un effetto shock!

La vettu­ra, dipinta in bianco, colpì mol­to la fantasia, tanto che addirit­tura andò a finire sui fumetti! In­fatti, per molto tempo, fu ripresa da Jean Graton per le sue famo­se strisce di “Michel Vaillant”. Questa straordinaria vettura fu seguita dalla “Super Flow II” che ne riprendeva alcuni tratti (spa­rivano le coperture in plastica del­le ruote e le pinne venivano ri­dotte otticamente) ma che ag­giungeva alcuni dettagli come l’apertura dei vetri a “farfalla”.

La terza realizzazione, in cui è quasi identica la linea (soprat­tutto nella fiancata con la famo­sa concavità) è del 1959 e si chia­mava semplicemente “Spider Su­per Sport”, ma mantene­va ancora il motore da 3500. Fu seguita subito dopo da una versione chiusa (ma al solito il tet­to era completamente tra­sparente) in cui la linea, riprendendo i tratti che vedremo sulla Duetto, di­viene ancora più slancia­ta e ricorda· akune Ferra­ri 400.

L’esposizione al museo “Rosso Bianco” di Peter Kaus

Questa vettura è ancora esistente e si trova in Germania presso il museo “Rosso Bianco” di Pe­ter Kaus. Il quinto eserci­zio è del 1961 ed è su te­laio “Giulietta SS”, carat­terizzato sempre dal tetto trasparente che si solle­ vava elettricamente, unitornente al lunotto per consenti­re un migliore accesso all’abita­colo. Ne venne realizzata anche una versione spider, presentata al Salone di Torino dello stesso anno. E, finalmente, arrivò la “Duetto” 1600 del 1966, che ven­ne prodotta fino al 1970 in circa 15.000 esemplari, sostituita poi dalla meno bella variante a coda tronca, che con le opportune mi­gliorie viene ancora oggi prodot­ta.

Purtroppo non abbiamo una terza puntata per parlarvi di tut­te le belle vetture che Pininfarina costruì in quegli anni (ma sono davvero tante tra prodotte e pez­zi unici). Mi limiterò a elencarvi le più interessanti e quelle di mag­gior successo. Tra le “dream car” chi non ricorda la “Sigma Grand Prix”, presentata al Salone di Gi­nevra del 1969, nata per contri­buire con dispositivi e concetti ori­ginali alla sicurezza delle F. l. Op­pure ancora la “Modulo” su te­laio Ferrari 512/S. Presentata sempre a Ginevra nel 1970 e espo­sta all’Expo di Osaka nello stesso anno?

La bella Abarth OT 2000 di Pininfarina

Quacuno potrà non ricor­dare la altrettanto bella Abarth “OT 2000”. Una impressionante “show car” presentata al Salone di Bruxelles nel 1969, dalle linee estremamente tese e pulite. In contrasto con la complessità mec­canica del potente motore, prati­camente tutto a vista. Oggi que­sto prototipo è proprietà di un col­lezionista giapponese.

Pratica­mente la stessa vettura su telai di­versi: grinta da vendere derivata da un profilo costituito da una li­nea continua che unisce cofano, padiglione e posteriore. Le vettu­re si differenziano dal diverso trat­tamento dei fari (in vista e in fila per la Ferrari, a scomparsa per l’Alfa) e per il trattamento della coda, con le classiche alettature per la Ferrari che si rivedranno anni dopo sulla Testarossa. Clas­siche rimangono invece le Ferra­ri GTB BB (Berlinetta Boxer), la Fiat 130 Coupè e la (purtroppo non costruita in serie) splendida versione break “Maremma”. Le Peugeot 504, le Fiat Dino Sr,ider, le Lancia Beta “Montecarlo’. Tut­ta la serie delle Ferrari GTB 308 e 208. Le Lancia “Gamma”, la Ja­guar XJ-S Spider prototipo, la splendida Ferrari “Pinin”. Un’unica Ferrari progettata con 4 porte che seppure non marciante (era pre­visto il 12 cilindri boxer anterio­re) è stata acquistata recente­mente da un fortunato collezio­nista straniero. La Ferrari “Testa­rossa”, la Lancia “Thema”, l’Alfa 164, la Ferrari F.40, la “Mythos”.

Sono, queste vetture, il riassunto e la condensa di tutte le esperienze maturate dalla Pininfarina in quasi 70 anni di attività. Gio­vanbattista Pininfarina fu tra i protagonisti della ripresa italia­na. Lo è ancora oggi il suo mar­chio, accolto a braccia aperte ad ogni nuova “creatura”, ed il cui fermento è di stimolo ai prosecu­tori dell’opera di “Pinin”. Un gior­no, lontanissimo, sui libri di sto­ria dell’arte leggeranno: ” … di­scendenti di Leonardo e Miche­langelo, i costruttori Pininfarina scolpirono … l’automobile”. 

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