VACCARELLA Nino: passato, presente e futuro del “Professore”

Vaccarella e l’intervista concessa a Roberto Alajmo

Tratto da Sicilia Motori –  Marzo 2012

di Roberto Alajmo – Riproduzione riservata

Memorabile era quella piazzata su una curva dove l’anno prima lui era andato a sbattere: Nino stai attento!”. Ironica quell’altra:Nino insegnali la strada”. Qualcuna ormai molto stinta si legge ancora, sui muri di contenimento delle strade delle Madonie.

Vedi qui l’intervista di Roberto Alajmo a Nino Vaccarella

A dipingerle quasi tutte con la vernice bianca era un vigile urbano grande supporter di Vaccarella. Scriveva anche sull’asfalto, col risultato di rendere la carreggiata sdrucciolevole soprattutto per i primi a partire, e Vaccarella era spesso fra questi. Da cui si ricava che l’amore, tanto più è grande, tanto più grandi danni rischia di fare.

E’ la storia di un amore grande, quello fra i Siciliani e Nino Vaccarella, per gli amici Ninni. I giornali lo chiamavano “Il Preside Volante”, anche se preside della scuola di famiglia – l’Istituto Oriani, in via Rosolino Pilo – era la sorella; lui si era ritagliato un ruolo da amministratore.

Nino VaccarellaPer quasi un ventennio Vaccarella rappresentò l’orgoglio di una regione che per il resto ave va poco di cui andare orgogliosa. Orgoglio automobilistico, oltretutto: un esemplare inedito prima e dopo di lui, arrivato negli anni in cui la Sicilia, con lo stabilimento Fiat a Termini Imerese, cominciava a sognare un futuro industriale che poi si rivelerà effimero.

Magari a qualche bambino in gita sulla strada per Piano Battaglia verrà la curiosità di sapere chi era questo famoso Nino di cui raccontano le scritte bianche che affiorano sulla pietra dei muri fra Cerda, Campofelice e Collesano. Allora il padre, anche per distrarlo dalla nausea dei tornanti, gli racconterà l’epopea di quel pilota formidabile che quando toglieva il casco subito indossava una coppola.

Quel pilota siciliano che ha vinto per tre volte la Targa Florio, e anche quando per sfortuna non la vinceva, meritava di vincerla. Soprattutto si meritava le due ali di folla che si spalancavano ogni volta che lui abbordava quegli stessi tornanti, scostandosi come la muleta davanti alla carica del toro. Gente che poi, se lui si ritirava, se ne tornava a casa come se la corsa fosse finita. Erano tempi ancora pionieristici, e strade imprevedibili.

nino vaccarella

Buon compleanno “Professore”!

Non era raro che, uscendo da una curva, il pilota si trovasse a fare strage in un gregge di pecore che transitava ignaro sulla Statale. La passione automobilistica di Vaccarella nasce nella Palermo degli anni Trenta, dove di macchine ne circolavano forse cinquecento in tutto.

Nasce ispirandosi al rombo delle vetture che transitavano da un’officina sportiva che si trovava poco distante dal villino Duca, in Via Libertà, do ve era nato e abitava la sua famiglia. La sua prima automobile fu una Topolino che apparteneva al cognato: se la fece prestare e la distrusse. Gli piaceva correre, questo s’era capito subito. In seguito all’incidente il padre fu sempre molto restio a prestargli la sua Millecento.

Anche dopo la morte del genitore, per mettere le mani sul volante gli toccava trafugarla. E per trafugarla doveva aspettare notte fonda, quando la madre dormiva il sonno più pesante. Assieme agli amici tirava su la saracinesca del garage un centimetro alla volta, per non fare rumore. E anche così la signora Vaccarella certe  volte si affacciava al balcone urlando: “Mascalzone!”.

vaccarellaEppure fu su quella Millecento che il ventenne Vaccarella affrontò le prime gare in una Sicilia che nel dopoguerra era una sorta di avanguardia sportiva del Paese, soprattutto grazie all’operato di Vincenzo Florio. Il legame con la Targa è una questione di destino: i suoi genitori venivano dalle Petralie, e quei tornanti Nino Vaccarella bambino li aveva percorsi tante volte, specialmente quando la guerra aveva costretto la famiglia a cercare scampo dai bombardamenti su Palermo.

Oggi Vaccarella confessa che – qualche volta, da piccolo – i tornanti facevano star male anche lui. Se un padre di oggi volesse raccontare al figlio la leggenda del Preside Volante, non potrebbe saltare l’aneddoto di Collesano, quando durante una processione la folla abbandonò la statua della Madonna per caricarsi sulle spalle e portare in trionfo Vaccarella, fresco vincitore della Targa.

Gli altri piloti non gli nascondevano una specie di affettuosa invidia per l’adorazione che gli tributavano i suoi conterranei. Figurarsi se gli Inglesi potevano concepire per Graham Hill lo stesso trasporto passionale. Dopo ogni vittoria, una stretta di mano, e ognuno a casa propria.

E dire che la Targa, gara a cui ha legato gran parte della sua fama, era lontana dalle caratteristiche di Vaccarella. Sulle Madonie bisognava giocare in difesa, sempre con la mano sul cambio. Lui invece amava lanciare il motore al massimo: Le Mans, Nurburgring, queste erano le sue gare predilette.

nino vaccarellaBisogna che i padri spieghino ai figli che il mito di Vaccarella è quello di un pilota molto veloce ma anche regolare e disciplinato. Non uno di quelli che sfasciavano una macchina dopo l’altra. L’unica volta che veramente vide la morte in faccia fu al Nurburgring nel ’63. Prese una curva troppo veloce e finì rovinosamente contro un albero, cappottando. Il serbatoio era pieno e cominciò a gocciolare nell’abitacolo, con lui intrappolato dentro.

Era ovvio che bruciasse tutto. Ma la Morte, dopo averlo guardato negli occhi, decise che di questo Vaccarella non ne voleva ancora sapere. Fu fortunato. Non andò altrettanto bene al suo amico Lorenzo Bandini che, prima di morire sul circuito di Montecarlo gli aveva telefonato per chiedere di venirlo a prendere all’aeroporto di Palermo, l’indomani.

Vaccarella non era nemmeno uno di quelli che rimorchiavano. Niente ragazze ai box. Troppo distraenti. Si è sposato tardi, e quando è nato suo figlio ha capito che doveva smetterla di rischiare: la sua vita apparteneva adesso anche alla famiglia. Né era di quelli che si esaltavano con qualche additivo chimico.

vaccarellaPer carità. Al contrario: era talmente responsabile che anche all’apice della carriera non volle mai mollare il suo ruolo a scuola. Tanto che decise di rinunciare ai festeggiamenti per il suo trionfo alla 24 Ore di Le Mans per potersi presentare puntuale, l’indomani, in Istituto. La sorella lo accolse prendendolo per scemo: “Ma che sei tornato a fare?”.

Era uno che ha rinunciato a una chiamata della Ferrari per tenere fede all’impegno preso con la scuderia Serenissima del conte Vopi. Oggi Nino Vaccarella, 79enne, rimpiange qualcosa di una carriera lunga e prestigiosa, ma che poteva essere ancora più lunga e ancora più prestigiosa. Non tanto per la Formula Uno, dove ha fatto solo poche apparizioni: non l’amava allora e non la ama nemmeno adesso. Segue le gare per dovere, in televisione, ma subito dopo la partenza ammette di cominciare a pensare: ma quando finisce?

Allora non tutto il panorama automobilistico era televisivamente appiattito sulla Formula Uno, anzi. Anche la Ferrari è un rimpianto relativo. Nino Vaccarella considerava e considera la Maserati superiore, se non fosse stato per il carisma di Enzo Ferrari, nei  confronti del quale nutre una specie di critica ammirazione: “Non seguiva le gare, e  i suoi emissari non erano all’altezza”.

A Ferrari lo lega anche un’altra storia, che riguarda pure il rapporto fra padri e figli. Così come l’Ingegnere perse in pista l’amatissimo Dino, allo stesso modo un incidente d’auto ha dato a Vaccarella quel dolore che l’automobilismo dei suo  tempi, molto più rischioso, gli aveva risparmiato.

Il figlio Giovanni – come per una specie di contrappasso, sulle stesse strade della Targa – è finito fuori strada per evitare un’auto che arrivava in senso opposto. Il suo navigatore non s’è fatto neanche un graffio, lui è finito su una sedia a rotelle. Ancora oggi fra padre e figlio c’è l’amore che è ovvio ci sia, ma anche una specie di malinconico attrito che è difficile indagare.

Difficile e anche ingiusto, visto che appartiene alla loro sfera privata. Ecco: questa è la storia che i padri raccontano ai figli mentre percorrono le strade che erano della Targa Florio. La storia di un pilota siciliano dalla vita felice, che forse, però, poteva essere ancora più felice.

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